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Gradisci un'offa? Quando diritto ed economia si incontrano...

Qui jure suo utitur neminem laedit. Ma è ancora vero? L’inquietante figura dell’abuso del diritto.

Già dai tempi dell’antica Roma si diceva che colui il quale esercita il proprio diritto non può nuocere a nessuno. Ne discenderebbe che non può essere rimproverato in nessun modo chi, fruendo di una posizione giuridica di diritto soggettivo che la legge gli riconosce, produce in fatto un qualche pregiudizio per altri soggetti.

Un esempio può valere più di mille parole. Se sono proprietario di un terreno, posso piantarvi alberi. Se per caso uno di questi alberi impedisce al vicino di godere della bella vista di cui prima fruiva, non se ne può dolere (a meno che, ovviamente, non vantasse una servitù specifica oppure che non siano stati rispettate le distanze minime per effettuare le piantagioni).

È infatti chiaro che, in mondo “finito” la libertà di un soggetto non può che tradursi invariabilmente in una limitazione più o meno grave di altri soggetti. Si tratta di contemperare le libertà, le facoltà, gli obblighi ed i doveri di ciascuno e il diritto serve proprio a questo.

Che cosa si intende allora per “abuso del diritto”? La figura si presta a notazioni giuridiche e filosofiche estremamente variegate. Se volessimo rimanere (come d’altronde siamo necessitati a fare) su un terreno non particolarmente accidentato, dovremmo limitarci ad osservare come nei tempi più recenti ci si sia spesso affannati a parlare di “funzione” del diritto, con ciò scomodando una locuzione (appunto quella di “funzione”) che è propria più del diritto pubblico che di quello privato. “Funzionalizzare” significa infatti conformare l’esercizio di un potere giuridico al perseguimento di un fine specifico che viene assegnato al titolare del potere stesso. Così un Funzionario ha il “potere” di compiere un certo atto proprio del suo ufficio perché tale possibilità gli viene assegnata per perseguire un fine estraneo al proprio interesse e, piuttosto, conforme all’interesse della collettività alla cui cura è stato preposto.

Per tornare al nostro discorso: se è vero che il diritto soggettivo è il più vasto potere conferito dalla legge al cittadino per perseguire la propria utilità, appare chiaro come ogni discorso sulla “funzione” debba essere accostato con una certa circospezione. Il rischio è quello di “svuotare” il diritto che, proprio in quanto deve essere piegato ad una certa “funzione” in realtà non serve più al suo titolare.

Facciamo un esempio concreto. Se dovessimo dire che la proprietà privata dei terreni agricoli deve perseguire la “funzione” della maggiore produttività cerealicola monocolturale potremmo pervenire a negare radicalmente ogni libertà del singolo proprietario di coltivarvi verdure. Sei proprietario di un terreno? Devi coltivarlo a cereali con i semi che ti diciamo noi.

E se non lo fai? “Abusi” della tua proprietà, del tuo diritto. Vale e dire che non lo usi conformemente allo scopo per il quale il diritto ti è stato dato dall’ordinamento.

Proprio per questo ogni discorso circa l’abuso del diritto è delicatissimo: perché attiene alle libertà fondamentali ed al confine tra quello che è lecito e quello che non è tale.

Il tema, invero anche datato, ha conosciuto un vero e proprio “ritorno di fiamma” sotto il profilo tributario, che è quello che oggi parrebbe stare più a cuore di ogni altro. E’ come se il Fisco ti dicesse: “se hai escogitato un modo per pagare meno tasse, attenzione! Ti raggiungerò egualmente in quanto andrò a riqualificare l’operazione che hai compiuto, poichè l’hai fatta “abusando” del tuo diritto” (approfondimenti su WikiJus: link1 ; link2).

La figura dell’ “abuso del diritto”, teorizzata in giurisprudenza, è approdata finalmente al porto del legislatore. Con il decreto legislativo 5 agosto 2015 n.128 pubblicato sulla G.U. del 18 agosto 2015 si intende colpire le operazioni prive di sostanza economica che, seppure formalmente rispettose della norma fiscale, realizzano lo scopo di raggiungere vantaggi fiscali indebiti. Alla stregua della novella si considerano “operazioni prive di sostanza economica” i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, idonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Per “vantaggi fiscali indebiti” invece si intendono i benefici, anche differiti, che vengano realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

La giustificazione del fondamento del provvedimento normativo, è la dichiarata finalità di rafforzare la certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente in materia di abuso del diritto ed elusione fiscale. Appunto: una certezza che pare una chimera tanto più ci si allontana dai percorsi della logica per entrare in quelli della psicologia, dell’elucubrazione mentale che si sforza di penetrare le finalità della condotta di chi pone in essere un’attività giuridica che possiede implicazioni tributarie. Il tutto a meno di non ipotizzare una sorta di immanente dovere di corrispondere, in riferimento a ciascuna attività, la massima misura possibile delle imposte, delle tasse e dei tributi.

Ma un dato ci conforta: all’art. 5 del provvedimento normativo appena approvato, sotto la titolazione “Doveri”, si afferma espressamente che “ Il regime comporta per l’Agenzia delle entrate i seguenti impegni:” segue un interessante elenco di condotte doverose per l’Amministrazione. Tra le stesse spicca, al punto b) la “pubblicazione periodica sul proprio sito istituzionale dell’elenco aggiornato delle operazioni, strutture e schemi ritenuti di pianificazione fiscale aggressiva;”.

Insomma: occorre usare bene i propri diritti, in modo tale da pagare le tasse dovute, ma proprio tutte, professando una condotta fiscalmente “mite”, auspicando che analoga mitezza sia usata da chi poi la legge dovrà applicarla.

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